Parte 6Le sezioni che si parzializzanoAdesso dovrei fare come Jucas Casella ed esordire dicendo: “al mio 3 …. dimenticatevi dell'asse neutro!”.
Se aprite i testi su cui avete studiato (io ad esempio il Giangreco) vi accorgerete della “fatica” con cui è possibile arrivare alle tensioni in sezioni, anche di semplice geometria, ma sollecitate a presso-flessione deviata. Costruzioni grafiche, artifici vari, e soprattutto l'onnipresente “asse neutro” che continuamente rompe le balle.
Ovviamente vi chiederete come fare a meno dell'asse neutro, quella retta che separa la zona tesa dalla compressa, proprio in una sezione che si parzializza. Specifico quindi meglio: l'asse neutro sarà un risultato, non sarà l'input di partenza da cui far scaturire tutto.
Vedrete che questo semplice “ribaltamento” di pensiero semplificherà parecchio le cose.
Poiché il vero input come abbiamo già visto nella parte precedente, con il metodo della “matrice di rigidezza della sezione” rimane sempre una tripletta deformativa, ossia la formula principe rimane:
deform(x,y)=u+φx*y+φy*x
Questa con le precisazioni di cui alla parte 5, circa il valore di E da mettere da parte, coincide con il “campo” di tensioni agente sull'intera superficie della sezione. Sostituendo ad xv ed yv le coordinate di un qualsiasi vertice di un poligono della sezione (coordinate rispetto al baricentro della sezione omogenea), restituisce la tensione nel vertice stesso.
Allora, diciamo subito che il metodo visto nella parte 5 è perfettamente utilizzabile anche per le sezioni che si parzializzano. Basterà sostituire ai coefficienti della “matrice di rigidezza” le caratteristiche statiche della sola parte reagente di sezione, piuttosto che le caratteristiche della sezione intera come abbia fatto finora, perchè il tutto continui a funzionare liscio come l'olio.
Bello direte voi. Epperò con un ma. Ovvero:
Ma se a priori non si sa come la sezione si parzializza, come si fa a calcolare le caratteristiche geometriche corrette? E' il gatto che si morde la coda, no?
Ancora una volta è più semplice di quanto si creda. Vi spiego anzitutto il criterio generale. I “mattoni” particolari, certamente non secondari, li tengo per ultimo, perchè ritengo che prima bisogna sapere cosa fare, poi arriverà il come.
Bisogna partire da una tripletta di valori per (u,φx,φy) di primo tentativo, e poi procedere per iterazioni successive. Qualcuno (non so chi) ha dimostrato che basta partire da una tripletta (1,0,0) perchè il problema sia sempre convergente (è vero!). Faccio notare che imporre u=1 e rotazioni nulle, significa di fatto non avere trazione (inizialmente) nella sezione e che quindi le varie caratteristiche geometriche della sezione “parzializzata” sono proprio quelle della sezione intera.
Lo schema di procedimento segue quindi questa sequenza:
1) Con la tripletta di primo tentativo (1,0,0) si determinano i coefficienti della matrice di rigidezza (quelli della sezione intera, quindi);
2) Con il termine noto dato dalle sollecitazioni si risolve il sistema lineare a tre incognite e tre equazioni, trovando una differente tripletta di valori per (u,φx,φy);
3) Con questi tre valori deformativi si è in grado di verificare quali vertici della sezione “intera” sono in trazione e quali in compressione;
4) Si definisce una nuova geometria per la sezione che comprende la sola parte compressa (le armature sono sempre presenti);
5) Si determinano nuovamente i coefficienti della matrice di rigidezza con la nuova geometria e si riparte con il passo 2.
In questo modo, a poco a poco, l'algoritmo proposto “aggiusta” la sezione. Per ogni tripletta deformativa ricavata la sezione modifica la sua forma, fino a quando la differenza tra la tripletta della iterazione n-1 e la iterazione n non diventa più piccola di un fattore di tolleranza imposto (oppure quando la differenza tra le aree della sezione reagente tra l'iterazione n-1 ed n non è inferiore ad un valore imposto).
Io proporrò che la differenza in valore assoluto tra “norma” della tripletta n e tra la “norma” della tripletta n-1 sia inferiore a 0.001.
Per norma ovviamente intendo radq(u²+φx²+φy²).
Non immaginatevi chissà quante iterazioni prima di giungere ad un risultato stabile. Con 6-7 iterazioni normalmente si arriva al risultato definitivo. Al massimo con 10. Da un punto di vista computazionale il vostro elaboratore perderà più tempo a ricalcolare ogni volta la matrice dei coefficienti che a risolvere il sistema.
Un ultimo commento prima di andare avanti. L'algoritmo organizzato in questa maniera non si ferma davanti a nulla. Immaginate ad esempio che le sollecitazioni siano tali che la sezione non si parzializza (risultante all'interno del nocciolo centrale d'inerzia). Problemi? No, una semplice iterazione inutile in più, ma il problema è risolto ugualmente. Infatti: matrice dei coefficienti riempita con le caratteristiche statiche della sezione intera. Risolto il sistema e quindi ricavata la tripletta deformativa, indaghiamo sulle parti in trazione: non ce ne sono, pertanto la matrice dei coefficienti viene riempita nuovamente con le caratteristiche statiche della sezione intera. Risolto il sistema troviamo, e per forza, la stessa tripletta di prima. Fine del ciclo.
Insomma un vero algoritmo “Casanova” che accontenta tutte le sezioni, le belle e le brutte, che si parzializzino o che non lo facciano.
Torniamo al nocciolo del problema. Alla fine il vero “problema” diventa riuscire a ricavare ad ogni iterazione i nuovi poligoni che rappresentano la sola parte compressa della sezione.
Guardiamo la seguente figura:
Non guardate la linea rossa, ancora Jucas non vi ha schioccato le dita contro il viso. Quello che conta sono i vari casi possibili che vedete a destra.
Immaginiamo che siamo al primo step, e che risolvendo il sistema con la matrice dei coefficienti “piena“ delle caratteristiche statiche della sezione intera, si sia addivenuti ad una tripletta data genericamente da (u, φx, φy). Con queste deformazioni (che poi sono tensioni) alcune parti della sezione verranno sollecitate a trazione, altre a compressione.
Analizziamo adesso quindi cosa succede su ogni lato dei nostri poligoni.
Il caso 1 riporta il lato 1-6 che risulta essere sempre teso, pertanto esso non potrà far parte del nostro poligono “reagente”. Semplicemente esso si scarta. Quella parte di sezione non interessa;
Il caso 2, al contrario rappresenta il lato 2-3, che risulta essere sempre compresso. Questo lato, con i relativi vertici, farà parte del poligono “reagente”;
Il caso 3, infine è proprio quello di maggiore interesse. E' il lato 1-2 (ma il lato 3-4 ha la stessa situazione) che presenta il vertice 1 con tensione di trazione, il vertice 2 con tensione di compressione. E' ovvio che lì in mezzo, tra il vertice 1 e 2 si “anniderà” un punto di tensione 0.0 (ricordo, anche se non sarebbe necessario, che la tensione varia linearmente da -σ1 a σ2 lungo il lato 1-2 per le ipotesi di partenza circa la deformazione piana della sezione e per il rapporto di linearità tra tensione e deformazione). E' proprio quel punto di tensione nulla che farà da confine per il nuovo poligono che deve rappresentate la sola parte compressa della sezione. Esso quindi sarà un “nuovo” vertice del poligono. Nella figura ho rappresentato con 1*, 2*, 3*, 4* il nuovo poligono “compresso” di cui calcolare le caratteristiche statiche per la successiva iterazione di calcolo.
Le coordinate del nuovo vertice 1*, con considerazioni semplici di rapporti tra triangoli (vedi figura), e considerando i valori delle tensioni nel loro valore assoluto (senza segno), sono esprimibili con le formuline:
x1*=x1+σ1*(x2-x1)/(σ1+σ2)
y1*=y1+σ1*(y2-y1)/(σ1+σ2)
Se poi siamo affezionati ai segni:
x1*=x1-σ1*(x2-x1)/(σ2-σ1)
y1*=y1-σ1*(y2-y1)/(σ2-σ1)
E faccio notare come questa formula funziona anche se σ1 è positivo e σ2 è negativo (ovvero 1 è vertice compresso e 2 vertice teso), poiché il numeratore (σ1) cambia segno, ma anche il denominatore (σ2-σ1).
Adesso qualcuno potrebbe obiettare che nello spezzare la sezione reale in “porzioni” potrebbero accadere cose strane. Prendiamo ad esempio questa figura:
Se la parte compressa fosse quella inferiore, il singolo poligono che rappresenta la sezione dovrebbe potersi scomporre nei due “cornini” rappresentati in alto a destra nella stessa figura. Oppure potrebbe scomporsi anche in più di 2 cornini. Scombinando un po' le carte in tavola.
Ma tutto ciò invece non è un problema se il poligono compresso viene rappresentato come nel contorno in rosso. Si tratta sempre di un solo poligono, in cui il lato 3*-4* “giace” sul lato 6*-1*. Per come sono organizzati gli algoritmi di calcolo delle caratteristiche statiche dare in pasto il doppio poligono (sopra) o il poligono “quasi intrecciato” (sotto) non fa alcuna differenza. I numeri rimarrebbero gli stessi.
E proprio per questo che nella prossima parte, in cui proporrò un po' di codice, di queste situazioni potrò bellamente infischiarmene.
Bene, è il momento dello schiocco di dita. Visto come l'asse neutro lo abbiamo disegnato solamente alla fine semplicemente valutando le sue intersezioni con i poligoni delle sezioni? Siamo stati costretti a ricorrere ad esso? Abbiamo dovuto definirlo analiticamente come retta y=mx+q, con tutte le questioni di geometria analitica che ne sarebbero sorte?