Qualcosa di giuridicamente mostruoso è avvenuto in questi mesi ed anni, ora legittimato dal Consiglio di Stato, con l’incredibile sentenza 28 novembre 2012, n. 6014: l’esproprio subdolo del sistema pensionistico dei liberi professionisti (intellettuali).
Stiamo discutendo di numeri rilevanti: oltre 2 milioni di liberi professionisti intellettuali (avvocati, notai, medici, architetti, ingegneri, commercialisti, consulenti del lavoro, giornalisti etc.) che producono circa il 7% del Pil italiano, che fondano l’intera professione sul proprio rischio e capacità. Professioni intellettuali che partecipano alla crescita culturale ed economica del Paese, pagandone il maggior prezzo poiché non hanno alcun “paracadute” assistenziale. Soprattutto i giovani, altro che le frottole (equità, crescita, rigore, giovani, donne) del governo tecnico.
Il sistema pensionistico (l’ultima stagione della vita) dei liberi professionisti è privato da 20 anni. Le Casse previdenziali sono private ed autonome dal 1994 (d.lgs. 509/1994, con cui hanno assunto personalità giuridica di diritto privato). Si sorreggono solo sui contributi dei propri iscritti, non hanno alcun finanziamento pubblico, subiscono una doppia tassazione che non ha eguali in Europa ed amministrano un patrimonio attuale di circa 50 miliardi di euro (destinato a crescere nei prossimi anni di 10 volte).
Ed è proprio il patrimonio – che serve a garantire le pensioni – che suscita l’interesse dell’avido e ingordo legislatore.
Le Casse previdenziali godono di buona salute perché hanno appena superato lo stress test, imposto de facto dalla ministro Fornero, di garantire non più la sostenibilità a “soli” 30 anni ma addirittura sino a 50 anni! Fatto che l’INPS neanche si sogna di fare perché tanto pagano i cittadini!
Se nonchè il legislatore ha tentato di svuotare tale riconoscimento (privati ed autonomi) non intervenendo direttamente sulla fonte di legge ma con norme surrettizie, con la compiacenza dell’Istat (che ben 2 volte in questi anni ha inserito le Casse autonome nell’elenco delle amministrazioni pubbliche), ed ora con il suggello del Consiglio di Stato, solo al fine di mettere mano sull’ingente patrimonio delle Casse. Già con legge 26 aprile 2012 n. 44, ex art. 5, comma 7, le Casse “private” venivano definite “amministrazione pubblica”, seppur limitatamente alla materia della finanza pubblica, con un modus operandi sconcertante. Il giochino consentiva così di applicargli la c.d. spending review e di succhiare alle Casse il 5% di risparmio della spesa e per l’anno prossimo il 10%. Una tassa occulta, sottraendo risorse ai contributi versati dai professionisti.
Sicché lo schizofrenico “legislatore” tecnico (i Monti boys) con la mano sinistra ordinavano alle Casse di divenire virtuose e garantire la sostenibilità a 50 anni (nell’interesse dei giovani!) e con la mano destra gli sottraevano il 5% del risparmio (poi il 10%), lentamente rendendole pubbliche. Sconcertante è dir poco.
L’Istat diviene nel tempo lo strumento chirurgico (improprio giuridicamente, avendo attribuito a tale Ente potestà legislative) col quale si tenta di “pubblicizzare” le Casse senza dichiararlo. Le Casse con un colpo magico di bacchetta sono definite “amministrazioni pubbliche” dall’Istat che le infila in un mero elenco.
Le Casse private avevano già impugnato l’Elenco ISTAT 2006 ed avevano avuto ragione (Tar Lazio-Roma n. 1938/2008) anche se poi la sentenza venne sospesa dal Consiglio di Stato (n. 3695/2008). Poco dopo il fenomeno si è ripetuto con l’Elenco ISTAT 2011 ed anche in tal caso il Tar Lazio ha dato ragione alle Casse, sconfessando la tesi di Istat, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’economia e delle finanze, sottolineando come le Casse non possano essere considerate soggette a “controllo pubblico” in quanto “non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio delle ricorrenti atteso che a questo fine esse sono già state fornite dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma.” (Tar Lazio-Roma n. 224/2012).
Se nonché ora il Consiglio di Stato con una sentenza palesemente politica e compiacente chi governa (occorre rimandare ai tanti interventi di Alessio Liberati che denuncia tale gravissima deriva) scrive che le Casse sono private solo nell’organizzazione ma pubbliche nella funzione, richiamando impropriamente una fonte comunitaria che riconosce “tale qualifica alle «istituzioni senza scopo di lucro» dotate di personalità giuridica (…) alla duplice condizione che «siano controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche», sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico”.
Una mostruosità giuridica atteso che le Casse non sono controllate ma “vigilate” (con una notevole differenza sostanziale) e non sono in alcun modo finanziate dallo Stato.
Un esproprio non c’è che dire. Tale obbrobrio potrà essere censurato tanto dal giudice delle leggi quanto proprio in sede comunitaria ma non escluderei nemmeno un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
FONTE:http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/30/lesproprio-delle-pensioni-dei-liberi-professionisti/431527/