Un cliente mi chiede, in luogo del classico attacco a momento costituito da piastra costolata con tirafondi, di affogare le colonne nel getto di una platea in c.a. di 40 cm di spessore (perché così si spende meno- senti che cliente!), a supporto di un modesto annesso agricolo ad un piano, che per motivi urbanistici ho dovuto progettare in acciaio.
Considerata la modesta altezza (circa 3 m) e l'impossibilità di disporre dei controventi, ho progettato una struttura a telaio in Alta duttilità, che purtroppo presenta spostamenti allo SLD e capacità di resistenza al SLV assai diversi nelle due direzioni, ma che risulta tuttavia verificata.
I montanti sono HE 160 A.
Ho trovato uno disegno scarno su un manuale, in cui è rappresentata la colonna circondata da un cubo di calcestruzzo, evidentemente da gettarsi poi, e una formula per calcolare l'altezza di "inghisaggio":
1.5 h+ 5 cm < H < 3 h
dove h è la larghezza del profilato.
Mah!
Intanto mi chiedo perché non possa affogare il pilastro più di 3 h; mi sfugge la conseguenza negativa di una più profonda penetrazione della colonna nella platea, e comunque, nel caso specifico con soli 40 cm di spessore, potrebbe doversi escludere questa soluzione a causa del punzonamento; anche se i carichi assiali sono modesti e la colonna sarebbe dotata di una piastra di distribuzione in testa, questo attacco mi piace poco.
Anche i 5 cm da aggiungere, mi lasciano perplesso in quanto costante indipendente dalla larghezza del pilastro. 5 cm in più per il mio HE 160 A e per un HE 600 B di un'altro, mi disorientano.
Poi mi sorge il dubbio atroce; ma non è che il riempimento è davvero un inghisaggio?! Una colata di ghisa. Sarebbe un po' arcaico e forse costano meno le piastre con i tarafondi. Accidenti ai micragnosi!
Perché, in effetti, se fosse calcestruzzo si romperebbe per la tensione in prossimità del contatto con la colonna.
Non lo ho capito bene questo attacco; sono confuso.
Qualcuno sa indirizzarmi per favore? Grazie.
Giulio